sabato 22 ottobre 2011

Seguo una gara ciclistica in un imprecisato paesino della Bassa. La gara è a intensità ridotta, cioè passa un ciclista ogni tanto, seguendo percorsi anche accidentati, come passaggi sotto i portici e marciapiedi collegati da gradini. Mi fermo a fare la spesa in un minuscolo supermercato dalle dimensioni di negozietto multifunzionale di paese, ma con ben tre casse a nastro e relative cassiere. Scelgo la cassa con la cassiera più carina e per qualche motivo mi ritrovo a parlarle come se la stessi corteggiando. Lei decide di prendere una pausa e ci mettiamo a chiacchierare fuori del negozio. Parliamo della vita in paese e del più e del meno. Le dico che io vengo da fuori, e da sufficientemente lontano per non passare più di lì, per lo meno non di proposito. Sembra dispiaciuta. Poco più in là avviene una rapina in una grande banca/centro commerciale. Vado a cercare il detective incaricato delle indagini perché sa che ho alcune cose da dirgli. Una guardia all'ingresso della banca mi ferma e mi dice che il detective non c'è. Io gli dico che quando torna mi può trovare in piazza, all'angolo davanti al supermercato. È notte. Poi è mattina: la vicenda della rapina è durata tutta la notte, il mio orologio segna le 9:30. Ma quando arrivo in piazza scopro che è ancora notte, il supermercato è chiuso, non c'è nessuno per le vie e mi tocca aspettare tutta la notte. Suona una campana, io conto i rintocchi: 11 e mezzo. Mi ricordo di avere una camera di albergo, lì dietro, allora salgo, la camera è in condizioni pessime. Poco dopo arriva una ragazza con le chiavi della camera, dice che lei stava lì fino al giorno prima ma che ha ancora bisogno di un posto. Per me non ci sono problemi, si può dividere. Fuori è giorno, ma è domenica. Significa supermercato chiuso. Vorrei rivedere la cassiera ma non so come fare e sto simpatizzando con la ragazza della camera d'albergo quindi forse, concludo, vale la pena abbandonare l'idea di provarci con due ragazze e scegliere invece quella effettivamente disponibile al momento.

mercoledì 12 ottobre 2011

Entro con una ragazza in un negozio di abbigliamento. Lei sceglie per me una tuta sportiva completa, una maglia, una camicia, pantaloni e scarpe eleganti e un cappello. Per provare il tutto, si deve scendere al piano di sotto dove hanno organizzato due distinti sportelli a cui fare la coda per mostrare i capi che si intende provare, ricevere biglietti numerati relativi ai suddetti capi, iscriverli a registro, fare una seconda coda per il camerino, provare gli abiti e qui mi perdo perché non so bene cosa accade se un abito è troppo largo o stretto e quindi ne bisognerebbe provare un altro non registrato, per stare sicuri. Mi ritrovo da solo a provare la tuta, che è di almeno due misure più larga, e la maglia, che mi stringe pazzescamente il collo e il torace e mi fa sembrare deforme. Non c'è traccia della ragazza che mi accompagnava. Era così entusiasta.

lunedì 3 ottobre 2011

C'è una nuova strada a M. dietro la collina, ma è come se fosse lì da sempre. Io non ci ero mai passato in autobus, eppure adesso ci passa uno snodabile, nonostante la strada sia piena di curve, di salite impervie e sia stretta tra due rive trattenute da muretti in pietra e mattoni. La pavimentazione risale agli antichi romani. Plausibile. Ma è in così ottimo stato che per lo meno devono averla restaurata. Così mi spiego anche il fatto che non conoscevo quella strada, perché forse prima era molto diversa. Mi alzo e mi preparo a scendere alla fermata successiva, come altri passeggeri. L'autobus però si allontana dalla collina e continua verso paesi ignoti, pur essendo una linea locale. Io non so nemmeno dove dovrebbe essere la mia fermata, pensavo che coincidesse con il capolinea. Eppure ora ci siamo immessi su una strada provinciale dritta e trafficata, a destra ci sono i campi, a sinistra inizia una cittadina di ville e villette di secoli passati, cintata da un canale. È tutto molto bello, ma sconosciuto, e l'autobus non accenna a fermarsi.

sabato 1 ottobre 2011

Razzi perenni verso Marte

Guardo dal finestrino del pullman e vedo un complesso di razzi che scorrono lenti, in parallasse tra i grattacieli. Vapore già scorre lungo le bandiere inchiodate al metallo. Tutto il pullman guarda, in attesa della partenza dell'uomo per Marte.
Ehi! Fermo!
Qualcuno mi ha rubato le scarpe. Scendo e grido al ragazzino Dickensiano, che corre lungo una via della città.
Respiro. E' una città rossastra costruita su caste. Tra edifici di mattoni e i grattacieli inarrivabili, i cittadini rotolano come biglie, mentre le cravatte li guardano dagli attici, in controluce con un tramonto perenne.
Ora sono a casa di mia nonna, al piano terra di una casetta di, appunto, mattoni. Il tavolo rotondo e coperto da una tovaglia semplice.
I razzi puntati verso Marte sono onnipresenti: le piccole finestre de salotto ne sono sature.
Guardo fuori e attendo con il resto della metropoli.
Mi sono iscritto alle superiori ma non so bene che scuola sia. So solo che si trova al quinto e sesto piano di un palazzo di città. Parlo con un tizio e una tizia. Sono le dieci di mattina ed è - quindi - l'ora dell'intervallo. Essendo nuovo e al mio primo giorno non so dove andare né cosa fare, quindi lo dico a tizio e tizia e mi aggrego a loro. Ma come non sai cosa fare, mi chiedono. No, rispondo, perché da noi si faceva diversamente. Allora entriamo in un ascensore. Dico: ...ad esempio noi non avevamo l'ascensore. E la cosa sembra stupire tizia che mi chiede da che razza di scuola vengo. Le rispondo che vengo dalla provincia. Tizio preme il pulsante T dell'ascensore e io noto che gli unici pulsanti disponibili sono 6, 5 e T. Chiedo come mai. Rispondono (sempre più stupiti) che agli alunni non è concesso fermarsi ai piani che non appartengono alla scuola. Io ribadisco che da me le scuole non stanno nei palazzi e dalla strada le puoi persino vedere tutte per intero, perché in genere hanno solo uno o due piani, sono più lunghe che alte e hanno il giardino. L'ascensore scende e dopo un po' inizia pure a procedere in orizzontale, come una mini-metropolitana. Tizio e tizia mi chiedono cosa comprerò per merenda. Per non fare la figura del provinciale mi astengo (ma vorrei tanto) dall'adeguarmi e chiedere prima cosa compreranno loro; io vorrei del pane al burro ma mi viene il dubbio che lì da loro non si usi; allora penso a una più semplice focaccia, ma temo che potrebbe farmi venire sete. In quel momento si aprono le porte, tizia mi prende per la mano e io provo immediatamente la sensazione che con questa tizia mi ci vorrei proprio fidanzare.
Non so come ma sto partecipando a una gara ciclistica. Sto salendo agevolmente in collina nonostante la forte pendenza. Passo un bivio non segnato da alcuna indicazione circa il percorso e mi domando come facciano (gli altri ciclisti) a capire da che parte proseguire. La salita procede a strappi di pendenza variabile, l'ultimo dei quali è ripidissimo e ne vedo la prosecuzione in lontananza, come se la strada serpeggiasse sul crinale di una collina, e lontano vedo ripetersi uno strappo gemello, esattamente uguale, a creare uno strano effetto di ripetizione, come se fosse la stessa identica salita clonata otticamente. Decido di fare una foto, ma per ottenere la giusta prospettiva devo scattarla stando in mezzo alla strada e non posso farlo essendo un continuo passare di pullman granturismo che arrivano, scaricano turisti e ripartono.

sabato 9 luglio 2011

Dove ho lasciato la macchina?

Dopo una sera al bar, con gente confusa che perde cappotti, va a fumare in massa lasciandomi solo, e crolla dopo non avere bevuto alcol, mi trovo a cercare la mia auto.
Gli unici rumori escono ubriachi dai bar; qualche risata, un bicchiere che si rompe. Vago con O. per strade in discesa e parcheggi affollati.
Sparo con il telecomando per rintracciare l'auto a distanza. Riesco ad aprire tre Ford Fiesta e percorrere decine di vicoli e stradine prima di arrivare a una festa che si tiene in due tempi.
E' notte, ma è anche giorno.
E' l'ultimo giorno di oratorio feriale, ma è anche un matrimonio.
La sposa parla al microfono radunando i ragazzi per il prossimo gioco di gruppo.
Nel parcheggio dell'oratorio/chiesa ci sono alcuni brianzoli uomini duri che stanno per rimorchiare via un'auto parcheggiata male; c'è anche il mio meccanico di fiducia. Cerco di farmi dare una mano, ma è troppo allegro d'alcol per ascoltarmi. Riesce a suggerirmi di vagare con telecomando in mano (già lo faccio, meccanico) e tentare la sorte.
Nel dormiveglia sono indeciso se alterare il sogno per trovare l'auto, o se arrendermi e chiedere un passaggio.
Forse è un film che sto guardando o forse ci sono dentro. La sensazione è come se fossero le due cose insieme. Sono tra un gruppo di persone che non conosco. Siamo finiti senza sapere come su un pianeta sconosciuto. Siamo in un grande ambiente spoglio realizzato con grandi pietre, intervallate da pannelli artificiali. Passiamo del tempo lì a capire cosa fare, e diamo per certo che siamo prigionieri e che ci stanno osservando. Discutiamo, ma senza venirne a capo. Qualcuno propone che "sicuramente" vedendoci discutere gli alieni capiranno che siamo esseri intelligenti e che non vale la pena tenerci in cattività. Sembra di assistere da fuori a un telefilm ed esserci dentro allo stesso tempo: da fuori penso che nonostante l'idea di base sia vecchia, potrebbe funzionare e diventare un'ottima serie di fantascienza; da dentro, sono un po' preoccupato. Qualcuno scopre un tunnel con monorotaia, ma nessuno si decide a esplorarlo. Altri invece trovano un varco verso l'esterno, e dopo avere percorso alcuni corridoi a cielo aperto tra altissimi muri uniformi, troviamo una riva terrosa e ci arrampichiamo. Ci ritroviamo all'aperto in un vasto panorama collinare e poco sopra a noi sembra profilarsi la struttura di una stazione. Facciamo qualche gradino e ci troviamo sul marciapiede di una vera e propria stazione di metropolitana di superficie. La cosa strana però è che senza la presenza di cartelli sappiamo che quella parte di marciapiede è riservata agli umani, ed è di livello inferiore rispetto al resto della piattaforma. Non possiamo andare oltre e nessuno osa sfidare il divieto implicito. Stiamo ancora cercando di capire cosa si aspettano gli alieni da noi. Sulla piattaforma ci sono altre persone, sembrano tutte umane di aspetto, ma sappiamo che non lo sono. Quando arriva il treno saliamo tutti in una carrozza. Qualcuno si siede, altri restano in piedi. Ci sono altri passeggeri, ma non capiamo se sono alieni o no: forse gli alieni possono occupare i posti degli umani, ma non viceversa. Il treno si alza poi in volo e sorvola un paesaggio di colline e grandi ville isolate, tutte di aspetto molto terrestre. Le cose strane di questo pianeta ci sembrano davvero molto strane, e pensiamo che la civiltà che lo abita sia enormemente diversa dalla nostra e che gli alieni non ci capiscano nemmeno un po'.
Scendo con la bici per strade brianzole; mi fermo sotto una loggia medievale. Già che sono lì, presento alcune soluzioni software e pianificazioni per mostre fotografiche a K, la quale mi dice che ha budget solo per 309 euro. Arriva P e la interrompe, perché si è liberato un posto per il lancio con il paracadute e devono andare subito.

mercoledì 8 giugno 2011

Amore, diabete e banconote

Squilla un telefono, mi alzo dal divano e metto a fuoco.
Mi trovo nell'appartamento in cui abitavano i miei nonni materni; tutto è come una volta: vecchio, confortevole.
Alzo la cornetta "Chi parla?".
Una ragazza, da Roma, attacca con una poesia d'amore diabetico.
"Aspetta, fermati... ho sentito dei rumori in casa".
Appoggio la cornetta e allungo lo sguardo verso il corridoio. Dalla porta compare un ometto basso, con un'onda di capelli nera e lucida come petrolio grezzo. E' Biffi, un vecchio compagno di classe pluribocciato.
Tengo lo sguardo fisso sull'intruso e riattacco la cornetta.
Biffi non spegne quel suo sorrisetto a mezza bocca di chi ha rischiato grosso e se l'è cavata. Alza una borsa da palestra e la vuota sul pavimento.
Mazzette. Grosso taglio.
"Biffi, cosa hai fatto?" in testa ho già l'immagine di una banca, una pistola, urla e sacchi di soldi. "Anzi, no, non voglio sapere".
Biffi non parla. Si toglie un paio di guanti grigi, consumati e li getta sulla collinetta di banconote, come a sottolineare la fatica con cui se le è procurate.
"Cosa farai adesso? Come porterai via i soldi?" istintivamente penso ad un autobus, poi scarto l'idea e rinuncio a proporla.
Biffi si volta e percorre tutto il corridoio. Lo seguo fino al bagno. E' stretto e la vasca da bagno è stata asportata; si vedono dei perni per terra e dei segni sul pavimento.
Il piccolo criminale balza sul davanzale e mi mostra come ha fatto ad entrare senza che me ne accorgessi. Siamo al quarto piano ed è riuscito ad entrare dalla finestra del bagno.
Allunga una mano e prende una borsa da donna, stesa su fili di plastica.

mercoledì 1 giugno 2011

Vivo in un loft con grandi finestroni che danno sia sulla città che sulla campagna. Arriva CC che dice di essere rimasta appiedata/bloccata/fuori rotta. L'unica soluzione è passare la notte qui. Poiché è donna sposata e con figli, la faccio debitamente accomodare nel letto singolo accanto al mio. Prima di andare a letto passa un po' il tempo a guardare alcune mie foto proiettate sul muro e si convince che sono belle. Ci tocchiamo casualmente nell'addormentarci. Bastano pochi secondi per raccontarsi la rava e la fava del "non si può" "non potremmo" "sarebbe meglio di no" e poi iniziamo a baciarci. Seguono numerosi particolari erotici. L'unico mio dubbio che mi viene nel proseguire è che sto facendo le cose in modo troppo coinvolto, da "amante" anziché da toccata-e-fuga e dovrei trattenermi ed essere più ruvido, tanto ormai è fatta...

martedì 24 maggio 2011

Cantine. Non so se quelle di casa mia o dei miei. Ho delle chiavi magnetiche e tradizionali tra le mani e al solito io non so quale sia quella giusta che apra la mia, ammesso che la mia sia qui. Con la magnetica le apro tutte e scopro che dietro le porte ci sono monolocali arredati sommariamente. Riesco a distinguere la mia perché è l'unica con gli scaffali in metallo, una damigiana ancora da spillare e bottiglie con la scritta "Cartizze" desolatamente vuote. Telefono a mio padre, gli dico di andare a Conegliano, tiro fuori la bici* e mi metto a pedalare restando ferma.

*solo in sogno questo può accadere

martedì 17 maggio 2011

Piscina. Sono aggrappato al bordo, dove non si tocca. Il fatto è che sono lì per una partita di pallanuoto. E non so nuotare. Quindi mi risulta difficile decidere il da farsi. Resto attaccato al bordo mentre inizia la partita e spero che il coach non mi chieda di giocare.

martedì 26 aprile 2011

Piscina. L'intera struttura è strana, molto strana. Sembra quasi che l'acqua sia inclinata, ma non esce dalla vasca. Anche il tetto è obliquo, il che complica la percezione delle cose. Io sono in una delle corsie centrali e nuoto così così per tutta una vasca, arrivo in fondo, e ritorno nuotando un'altra vasca abbastanza bene, e in ogni caso meglio di quanto abbia mai fatto. Mi fermo a parlare con un partecipante del corso e poi con C, l'istruttrice, e le chiedo se mi ha visto finire la vasca tutta intera, ma mi risponde che no, era distratta... A quel punto il livello della piscina inizia a calare e molto rapidamente la vasca si svuota. C inizia a correre e prodigarsi per capirne il motivo e riempire la vasca. L'acqua inizia a tornare, ma rimane poco più che un velo sul fondo della piscina. Io noto di nuovo che un'estremità della piscina è più alta dell'altra e mi domando come faccia l'acqua a stare normalmente inclinata. Ne parlo con C e insieme proviamo a formulare alcune ipotesi, sdraiati sul bordo, in accappatoio da karate.
Piscina. La corsia è larga metà di una corsia vera e l'acqua così bassa che nuotare a stile è scomodo perché si tocca il fondo con le mani. L'istruttore è distratto e non si cura molto di noi del corso. Quando mi avvicino ci mettiamo a parlare di donne.

lunedì 25 aprile 2011

Piscina - 2a Parte. Sono nei corridoi che portano a spogliatoi e uffici e non trovo quello che cerco perché probabilmente ho dimenticato quello che cerco. Il corridoio sul retro si apre in un vasto complesso sportivo dal carattere molto Olimpico, perché sembrano esserci tribune e palazzetti dello sport, lunghi colonnati e statue di età classica. Io faccio parte di una squadra di nuoto, forse nazionale, senza sapere perché, considerato che ancora non ho finito il corso per principianti. Le gare di nuoto inizieranno nel pomeriggio e io non so ancora cosa devo fare e non ricordo dove ho messo lo zaino. La mia principale preoccupazione però è verificare che la piscina non sia profonda e che si tocchi per tutta la sua lunghezza. Perché la gara la posso anche fare, ma se non si tocca e io mi fermo a metà che figura ci faccio?
Gli spalti intorno alla piscina iniziano a riempirsi di gente. Io pensavo di avere un posto privilegiato lì davanti, invece non trovo più nemmeno la mia squadra. In compenso trovo il mio zaino e sono contento di trovarci le pinne e la maschera da sub.
Piscina. Frequento un corso di nuoto di livello avanzato: "Tecniche di salvataggio in mare aperto". Non credo di essere in grado, considerato che provengo dal corso "Principianti" che non è ancora terminato. C'è una piccola vasca quadrata sopraelevata, come un ring di boxe, e a turno i partecipanti devono entrare in acqua. Io resto nelle retrovie e mi metto a leggere una rivista, seduto su una di tante poltroncine di cinema intorno alla vasca, ed essendo un po' distante non sento quello che dicono le istruttrici. Però vedo che a turno i partecipanti indossano una gabbia anatomica, cioè una gabbia con la vaga forma di un giubbetto salvagente che circonda solo il busto ed è necessaria una tecnica particolare per entrarci, infilare le braccia e poi chiuderla con un complicato dispositivo munito di sicura. Con questa gabbia la gente galleggia e viene salvata da annegamento, squali, onde anomale, eccetera. Viene il mio turno e l'istruttrice mi dice di indossare la gabbia ma io protesto perché nessuno mi ha ancora detto come fare, e quello è un corso, ne hanno il dovere. Come conseguenza l'istruttrice mi dice di recarmi negli uffici della direzione per sistemare le cose. Io ci vado, ma...
[segue 2a parte]

giovedì 31 marzo 2011

Situazione confusa nella mia vecchia casa. Sono arrivato in macchina, forse in aereo, e devo portare via le mie ultime cose. Il grosso, e le cose più importanti, le ho già portate via. Ma scopro che ho ancora tante cose che vorrei tenere: coperte, cartellette, buste, piatti, bicchieri; e poi scopro pure camicie e maglioni che non metto da anni (ecco perché! li avevo lasciati qui). Ma devo affrontare un dilemma: fuori, una radiazione non identificata potrebbe avere contaminato queste cose, e forse è già penetrata nella casa, ragion per cui, se porto via qualcosa, anche quello che ho già caricato in macchina verrà contaminato. Ma sarebbe un peccato lasciare lì le cose, anche perché ho tanto spazio in macchina (l'ho comprata grande apposta).
In quel momento entra la coinquilina, che approfitta della movimentazione per ritrovare alcune cose che non vedeva da tempo in casa. Dapprima vestita normalmente in maglia e jeans, quando si avvicina indossa un'aderente tuta spaziale che le esalta un seno strabordante. Pomiciamo brevemente, lei dice: dovevo aspettare che tornassi, per questo? Io penso: evidentemente sì.

lunedì 21 marzo 2011

Ultimo giorno di servizio civile, ma solo per me, gli altri della gang dovranno rimanere. Sono un privilegiato. Vengono a prendermi in ambulanza dopo l'ultimo servizio e nel tragitto verso la sede mi promettono un festino degno di addio al celibato, ma alla rovescia: devo pagare pegno per il fatto che me ne vado prima degli altri. Protesto e mi faccio spavaldo: altro che penitenze, gli faccio vedere io: e siccome in quel momento, in ambulanza, sono dentro una vasca con Hilary Blasi, inizio a limonarci, e la cosa strana non è che lei ci sta volentieri, ma che ha la lingua dura. A parte quello però l'esperienza procede bene... entusiasmo della ragazza, degli astanti e nessun freno inibitore. Dopo petting pesante però decido io di fermarmi per fare le cose con calma. Lei è bagnata fradicia (di acqua, siamo nella vasca), io sono completamente asciutto. Per il fatto che è bagnata, poi, a lei o a qualcun altro viene l'idea di fermarsi lungo la strada dal fidanzato per farsi dare un asciugamano. Scatta la paranoia perché mi viene il pensiero che il fidanzato possa lecitamente domandare il motivo della richiesta, che per logica conseguenza, secondo me, deve farlo pensare a qualcosa di poco lecito. Ma né la ragazza né gli altri (e figurarsi gli altri) si fanno tanti problemi. Arriviamo alla sede, che è una dimora storica curata dal FAI, con un giardino e sale eleganti. Noi dormiamo al piano di sopra. La ragazza è smodatamente entusiasta, io temo che al piano di sopra lo sarà un po' meno nel vedere le camerate, ma forse mi sto semplicemente facendo troppi problemi.
Saliamo.
Mi sveglio.

sabato 5 febbraio 2011

Fantasma sexy

Mi trovo in una casa stile liberty, tutta in legno, con giardino e vicinato rarefatto. Camera da letto, carta da parati verde sonno, a tratti percorsa da strisce di sole che filtrano dalle persiane.
Si fa sera e si fa nebbia.
Ho paura, qualcosa sta per apparire. [scatta il sogno lucido] Mi impongo di non provare terrore, cerco una soluzione all'orrore occulto che sto attendendo. Agisco sulla forma del sogno e trasformo l'aspetto del mostro. Finalmente compare: è una donna fantasma, che so essere la prozia di qualcuno, vestita alla moda di un imprecisato secolo passato, ma con lunghezza dei vestiti accorciata per l'occasione.
Un fantasma sexy, incorporeo, erotico ed effimero.
Svanisce la paura; tornano i raggi di sole. Ci stringiamo la mano in amicizia e segno di pace, in silenzio.

giovedì 20 gennaio 2011

Stazione Centrale, Milano. Mi perdo tra i binari, corro cercando di prendere un treno, non importa la destinazione purché mi porti via. Ma appena mi avvicino alle porte queste si chiudono, io ne perdo uno dietro l'altro: loro sanno che da sveglia io odio i treni. Poi lo vedo, è arancione o rosso comunque colorato, è un treno di Arena Ways, ma io ho paura che sia un treno fantasma perché non sono a Garibaldi. Salgo ugualmente, è pieno, pago il biglietto e mi siedo davanti a un suonatore di fisarmonica. Parte, tutti cantano qualcosa, tutti sono contenti di essere riusciti a prendere un treno, uno qualsiasi per un posto qualsiasi. Mi sento cadere nel vuoto, mi sveglio.

giovedì 13 gennaio 2011

Dormitorio di una fabbrica, notte. Non so cosa ci faccio lì, ma sto andando a letto. Qualcuno inizia una discussione sul futuro e pare che a una persona imprecisata che conosco succederà una disgrazia. Poiché capisco che quello è un posto speciale e un momento speciale, mi rendo conto che se agisco, ora e subito, posso impedire il futuro. Allora mi alzo, nonostante siano più o meno le cinque di mattina, cioè prestissimo, e nonostante sia una cosa che normalmente non farei mai. Esco dal capannone. È buio, nevica, e mi incammino per una strada lunga e dritta con la sensazione di stare tornando indietro da qualcuno. In strada non c'è nessuno, tutto è coperto di neve.

giovedì 6 gennaio 2011

Sono a Milano, siedo nel piano superiore di un bus a due piani. Girando un angolo diventa Roma, la differenza è visibile da subito: c'è immondizia e cassonetti aperti in ogni angolo. L'autobus deve fare slalom tra alcuni cartelli stradali piantati in mezzo alla carreggiata, molti hanno perso il cartello ed è rimasto solo un palo sbilenco. Non potendoli evitare, il bus li travolge. A un'altra svolta mi ritrovo in una campagna brianzola. Nella parte bassa di una riva di collina vedo una ragazza bionda fare il bagno in un laghetto insieme a un cane nero. Mi avvicino. Il cane nuota veloce e se la spassa. Quando la ragazza esce dall'acqua si fa avvolgere da me in un telo-mare e si fa asciugare. Poi, nonostante fosse bionda e sconosciuta, mi ritrovo a pomiciare con una mora identica a Maria Rosaria De Medici*. Facciamo l'amore su un divano rosso e io mi stupisco del divano, che non ho mai visto**. Lei dopo un po' assume un'aria distaccata e sorride: ma non capisco se sta pensando ai fatti suoi.

*Giornalista del TG3
**Eppure nella realtà possiedo un divano rosso.