giovedì 30 dicembre 2010

Ero incinto. Ma di pochi mesi. Quindi avevo qualche problema a far capire la gente la mia condizione. Tutto sommato però le donne che incontravo in strada/centro commerciale/scuola/teatro erano comprensive e disponibili. Qualcuna sorrideva tradendo un senso di accondiscendente maternalismo.

domenica 5 dicembre 2010

Ballando con I., le succhio un orecchio.
Sono in un drugstore, ai bordi di una statale americana. Vendono di tutto, in teoria, poi mi accorgo che vendono solo articoli sportivi. Bene, mi dico, sto appunto cercando una maschera da sub. C'è di tutto, anche le pinne da sub, ma non vedo maschere. Chiedo a I., che è lì con me, se vede maschere tra gli scaffali. Niente. Capita di lì una commessa che indossa la maglia blu del negozio. Chiedo a lei, ma in risposta mi dice che per le maschere da sub serve andare in un negozio specializzato di articoli acquatici. Loro hanno solo un modello, e me lo indica: era proprio sullo scaffale davanti a me. Questo modello è supercomputerizzato, nel vetro della maschera ti fornisce direttamente i dati di immersione usandolo come display. Io cercavo solo una maschera impermeabile. Da quel momento vedo sullo scaffale maschere di vario tipo, con snorkel o senza, di varie misure; ma poiché la commessa dice che di maschere da sub non ne vendono, rinuncio alla ricerca.

lunedì 15 novembre 2010

È una città* attorno alla quale non c'è nulla e sembra sia stata costruita appositamente, migliaia di anni fa, per resistere al tempo. Intorno, non c'è nulla, ovvero non c'è territorio abitato, non ci sono strade, non crescono alberi, non esistono altre città, non c'è niente di civilizzato, né di naturale, solo una blanda distesa non identificata di terra compatta e qualche ciuffo d'erba. Dentro, la città è vecchia e nuova insieme e popolata di numerosi turisti. Io devo prendere l'aereo quel pomeriggio e sono senza orologio. Non ricordo a che ora è l'aereo e sono senza biglietto e senza bagagli. Quello che mi serve è altrove, non so dove, con me ho soltanto la macchina fotografica. Mi fermo a fotografare uno scorcio di alte colonne all'interno di un palazzo, dentro il quale, in fondo, si notano altre vie aperte e il cielo. Una performance di street art sponsorizzata da una ricca casa di moda si manifesta davanti a questo palazzo, con danzatori che si calano in modi circensi dalle funi. Mi ritorna il pensiero del biglietto e dell'aereo. Allora torno sui miei passi: per andare all'aeroporto o altrove, non so di preciso. A piedi percorro chilometri nelle strade scoscese del centro che si alternano tra vie di grande percorrenza a viuzze da percorrere esclusivamente a piedi su un selciato di sassi e tra case di antichi mattoni. Quando arrivo all'incrocio di un grande viale che si affaccia, tramite i pochi resti di marmo bianco di un alto tempio, su un parco archeologico, mi rendo conto che tutta la fatica e il sudore e il mal di piedi spesi a camminare velocemente sono inutili perché l'aeroporto è fuori città e in ogni caso mi posso permettere un taxi. Ma non ci avevo pensato.

*Atene, per farla breve.
Prime lezioni dell'anno scolastico a Villa Greppi. Tutti tranquilli nel frequentare le lezioni come se fosse, e forse lo è, un corso di aggiornamento. È la prima settimana, quindi non c'è ancora l'orario definitivo. Entra in classe un'insegnante per "Sistemi/Sistemistica". Rimaniamo perplessi perché a noi linguisti non importa nulla di sistemi né di sistemistica, quindi chiediamo spiegazioni: a quanto pare non essendo stati debitamente informati, ci troviamo nell'aula sbagliata.
Insieme a I. ci mettiamo alla ricerca dell'aula. Ma negli anni Villa Greppi è cambiata e si è ingigantita oltre misura: consta di vari ingressi (almeno due laterali principali, più altri) e di innumerevoli ale e corridoi. Come metodo di ricerca dell'aula, scegliamo insieme di raggiungere l'ingresso principale e chiedere lì informazioni o cercare un'apposita bacheca. Per raggiungere l'ingresso principale ci orientiamo seguendo il nord. Sbagliamo subito e ci troviamo in una shanty town greco-londinese composta da un lungo corridoio su cui si affacciano solo negozi; per seguire il nord ci infiliamo in un corridoio ancora più stretto su cui si affacciano porte di miniappartamenti rattoppati, poveri, miseri e decadentemente straccioni. Saggiamente, decidiamo di tornare indietro nei corridoi puliti della scuola, frequentati da studenti in larga parte stranieri. Un architetto ci dice: cercare un'aula nel seminterrato è facile: lì la scuola non l'hanno potuta allargare più di tanto, lo spazio è quello che è. Ma in superficie è tutta un'altra storia. Proseguiamo la ricerca senza fretta, né ansia: mi piace stare con I. e la cosa sembra reciproca.

giovedì 4 novembre 2010

Ascensori. Ce ne sono due per dodici piani, nonostante negli ascensori stessi il primo pulsante rechi la cifra "8" e gli altri pulsanti siano privi di numeri. Su un pianerottolo, aspetto che si aprano le porte. Il mio obiettivo è aspettare fino a che appaia una donna che debba salire al dodici. Gli ascensori arrivano sempre in coppia, ma se curo l'ascensore di destra, non riesco a vedere se in quello di sinistra ci sono persone, e viceversa. Dopo un po' mi stanco di aspettare e decido di salire al dodici. Premo l'otto. Arrivo a un piano che non è il dodici, infatti l'ascensore è sceso anziché salire. Le porte si aprono e una famiglia africana vorrebbe salire ma io faccio segno: "va su", mentendo.

martedì 26 ottobre 2010

Aeroporto giapponese alle prime luci dei neon. Zucchero. Nuda.

I soffitti bassi sono tagliati da bocche d'areazione, le pareti sono divise dalla luce dei neon. Quando un neon sfarfalla, le pareti svaniscono e riappaiono, e quando riappaiono, riportano al colore negozi, duty free, passi in ritardo, avvisi di partenza.
Aeroporto giapponese alle prime luci di una città di sera. Ore 18.15.

Sono la personificazione della testa di un cavallo, viaggio con una testa di cane, ma appaiamo entrambi come esseri umani, tanto bassi da camminare comodi sotto questi soffitti.
Chiediamo biglietti ad un'edicola; l'unica cosa che comprendiamo è l'espressione del volto in camicia dentro il cubicolo. Le parole escono da una bocca intermittente: il caos tra partenze e arrivi è una discoteca e il neon una luce stroboscopica. 
Qualcosa non va, dietro di noi c'è un poliziotto in borghese, o un criminale in divisa, non riusciamo a capire. Spingo sul ripiano tra me ed edicolante una scatola di sigari. La apro e, pescando a caso, sollevo controluce la mia collezione di bustine di zucchero italiane. Ce ne sono di marca, con barzellette, nere di design o colorate d'opere d'arte. L'ultima la lascio sfavillare un po' nell'aria: zucchero di canna, bustina trasparente, sigillata con cucitura a punti.
Facciamo lo scambio e otteniamo i biglietti. 

Ora siamo seduti su sgabelli rotondi, intorno ad un tavolino beige. Il bar è una mezzaluna aperta sul corridoio, dove i clienti vengono serviti da una cameriera rosa, quarantenne, americana, anni 50.
Sollevo il frappè, ma una mano sulla spalla mi trattiene. Non è in borghese.

Un ascensore dopo, siamo al piano di sopra. La stanza è finta come lo spaccato dell'appartamento di una Barbie. Un animale dalla testa di polipo e le zampe aguzze come tentacoli inamidati, trafigge i tappeti mentre zampetta dappertutto. Il proprietario è un malavitoso locale che mi propone di organizzare un traffico di donne tra Italia e Giappone. Mi sorride con i suoi occhiali da neon.
Per sottolineare la serietà dell'affare, fa apparire sulla scena una donna magra, parrucca gialla, profilo di grafite. Lo ha tradito, ed ora le tocca una punizione. La fa spogliare fino a restare con un paio di guanti neri e un paio di stivaletti di pelo bianco. 
Verrà con me svestita così; useremo un jet privato. 
In Italia non potrà indossare nulla e quando (non "se", "quando") verrà arrestata e liberata, mi garantisce che comprenderò fino a dove si estende la sua influenza.

venerdì 22 ottobre 2010

Una via di Milano, con portici. Notte. Aspetto in macchina con D. Bussano al finestrino. Dobbiamo scendere, sta succedendo un casino. Di che genere? Del genere che gli altri sono coinvolti in una rissa/sono stati fatti prigionieri/sono feriti. Allora scendiamo in un sottoscala per entrare in un bar improvvisato, che non è un bar, è una saletta improvvisata, con panche di legno, un tavolone, un biliardo. Tutti zitti, poche persone. Ci sediamo, faccio finta di niente. Mi rimane il dubbio che questi hanno capito cosa sono venuto a fare. Non lo so nemmeno io cosa sono venuto a fare. Non so se ordinare da bere. Arriva subito una donna che ci chiede da bere. Chiedo l'elenco delle birre. Ne hanno una svedese, la prendo.
Capisco che qualunque mossa è quella sbagliata e potremmo essere coinvolti in una rissa/essere fatti prigionieri/essere feriti. Infatti si presenta uno che mi dice qualcosa, io mi alzo e inizio a fare la solita manfrina "hai qualche problema no dillo se hai qualche problema" e tutto intorno c'è tanfo e atmosfera di qualcosa di pesante che può finire male.

domenica 17 ottobre 2010

Stalattiti di panna acida

Casatenovo, Eman mi prende per mano in una casa che non è la sua ma posizionata nella via dei cani allo stesso posto della sua. Usciamo, nudi, vorremmo fare sesso per strada ma la prospettiva di scartavetrarci schiene e fianchi ci fa tornare sui nostri passi e ci convince a usare un letto alto con un materasso a fiori. Non abbiamo ancora iniziato la danza amorosa che subito veniamo interrotti da qualcuno che arriva, è il figlio di un'amica che abita nel Canavese, con una bottiglia di Erbaluce in mano. E' l'inizio di un flusso continuo di gente, la stanza si affolla fino a trasformarsi nel bar del cappuccino-brioche al cioccolato con gelatina di frutta. Inizio a montare della panna, un litro, due, l'assaggio e mi sembra acida, la panna si trasforma in lapilli di grasso bianco-acido e in un attimo stalattiti perlacee arredano il soffitto del bar. Io saluto tutti, si è fatto tardi, recupero il borsone, devo andare a nuotare a Nibionno.

lunedì 11 ottobre 2010

Città nera decade

Nuvole nere o notte, non vi presto nemmeno attenzione. Sto cercando casa in affitto in una città fuligginosa, dalle case aderenti e ammassate come scatole di cartone bagnate. Salgo per scale anti-incendio cigolanti che non terminano mai e trovo una stanza da una nonna con foulard sui capelli impolverati.
La prendo, costa poco.

domenica 10 ottobre 2010

Tornado dribbling trekking

Bosco verde temporale. Io e Monica abbiamo raggiunto una radura, una partenza da trekking, ognuno con la propria macchina. Ci guardiamo, mani in tasca, poi salgo sulla Clio e scalo marce verso una salita.
Percorro poche centinaia di metri, freno, sterzo, spengo. Quattro amici di vecchia data, raggruppati e anonimi come un poker di fanti, mi avvertono con ciglia aggrottate che dei vortici neri risalgono la vallata. Mi volto e li vedo: magri tornado di fuliggine che trottolano tra gli abeti.
Monica! E' rimasta alla radura! Dimentico la macchina e dribblo i tornado come un centravanti alla finale tra tempesta e uragano.
Tutto cambia.
L'auto è svanita, lo sterrato è una mulattiera, il sole accalda una folla di trekker. Torno indietro, risalgo il sentiero, diretto verso un'apertura: è un atrio d'attesa, con gente in coda e ascensori che riportano a casa, dalla montagna al parcheggio a fondo valle.
Metto piede sull'ultima roccia prima degli ascensori e mi accorgo di non avere il portafogli. "Monica, aspettami!" e di nuovo mi volto, di nuovo scendo, di nuovo dribblo, stavolta grassoni con camicia di flanella e donnoni con caviglie alla zuava.
Un invalido simile a un personaggio di Magnus mi fissa dalla sua carrozzella scrostata. E' stato lui, sono sicuro! Lo scuoto e lo capotto. La botta sulle rocce gli apre la pancia di gommapiuma e il contenuto s'ammonticchia sul sentiero: monete d'oro e statuette e orologi e piccoli tesori.
Mi riprendo il portafogli e me ne vado. Ovvìa! Agli ascensori, da Monica!

sabato 9 ottobre 2010

Morti in 3D, piselli smorti.

Il tavolo è rettangolare. Sono seduto ad uno dei lati più lunghi, al centro; mangio e sposto lo sguardo dal piatto, coperto di piselli, al muro, coperto da una smorta carta da parati.
I miei genitori sono svaccati su sedie di legno, lungo uno di lati più corti del tavolo e ridono verso una piccola tv. Tra i due è seduto un mio amico: Os. oppure Sz., non è chiaro (forse entrambi fusi in un solo individuo).

Dentro il veramente piccolo schermo Mike Bongiorno è ancora vivo e accoglie deluso una campionessa di quiz ormai invecchiata. Mike sbotta in una finta gaffe: "La signora ha passato i 60 anni da più di 20 anni!". Tra un pisello e l'altro sommo e la ottengo quasi novantenne.
Parte una simulazione 3D renderizzata. Il volto della sciura nei suoi 60 anni, già scavato dal repetita di una vita quotidiana sempre uguale, viene invecchiato digitalmente. I capelli a caschetto, già tinti, già finti, arretrano, desertificano, diradano, precipitano. Ciò che rimane è quasi teschio.
Dietro a Mike appare la sciura, ancora più a 90 degli 80, con un caschetto di capelli a sorpresa, ancora più finti dei 60. Per mano la accompagna un nipote guida dal pelo rado.
Mi alzo dal tavolo, ancora più distaccato della prima cucchiaiata di piselli. Basta, me ne vado.

Ciottoli e borbottii in centro Napoli

Il mio profilo sta pedalando nel centro di una Napoli illuminata a giorno, ma non è detto che sia giorno o che ci sia una differenza tra giorno e notte. Sto scontando il mio periodo di Servizio Civile e la bicicletta è quella del cuore, quella di Empoli, della Misericordia.
Sotto le ruote: ciottoli.
In piazza: una donna curva come un covone borbotta qualcosa.

martedì 5 ottobre 2010

Sto guidando con accanto A. per colline brianzole. Arrivati a uno scollinamento, si apre, oltre il parcheggio di un ristorante, la vista su fantasiose prealpi con insoliti picchi e coni montagnosi. A entrambi viene voglia di scattare qualche foto. Nel parcheggiare l'auto però mi accorgo di essere entrato in un'aiuola fiorita, forse un roseto. Scendo, impacchetto l'auto e la trascino fuori dall'erba, come un trolley. Nel farlo non mi accorgo che le rose crescono alte e vado a strisciarvi involontariamente il volto: ma anziché riportare graffi di spine, un occhio si riempie di polline giallo. A. mi guarda incuriosita. Mi sveglio.